Südtirol Ultra Skyrace 2014
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- Creato Domenica, 13 Luglio 2014 21:22
- Scritto da Alberto
Dopo aver partecipato lo scorso anno in staffetta con Luca e aver percorso “solo” i primi 60km quest'anno decido di iscrivermi alla Sudtirol Ultra Skyrace per provare a farla tutta, e completare tutto l’anello delle Alpi Sarentine che parte e arriva a Bolzano.
Ho dato fiducia all'organizzazione nonostante la prima edizione avesse presentato alcune lacune, in particolare un balisaggio troppo ridotto che aveva fatto sollevare non poche lamentele ai partecipanti della prima edizione.
La coincidenza di date con la Dolomiti Sky Run fa sì che in partenza, venerdì 4 luglio a Bolzano, non siamo in molti: poco più di 100 iscritti alla gara lunga ed altrettanti per la corta.
Il meteo è incerto ma dovrebbe via via migliorare, per fortuna non sono previsti temporali e nemmeno troppo freddo in quota. Sto bene, sono allenato e riposato, più che deciso a portare a termine questa lunga cavalcata.
Alle 22.00 si parte, una bella cornice di pubblico ci applaude da piazza Walter fino all'uscita da Bolzano, dove comincia la salita verso l'altopiano del Renon. Le pendenze sono subito da vertical e anche il ritmo, nonostante tutti dovremmo essere consapevoli che abbiamo davanti ancora 120km e 7000m di dislivello.
La salita verso il Corno del Renon, primo scollinamento importante, è lunga e nella parte centrale ha qualche tratto bello corribile su piacevoli strade sterrate in mezzo al bosco. Al Renon inizia a piovere, in alcuni momenti anche abbastanza forte. Aspetto un po' per mettere la giacca, è ancora abbastanza caldo e non voglio sudare troppo. Solo qualche problema di visibilità con gli occhiali che continuano ad appannarsi. Salgo regolare, senza mai esagerare ed in 3 ore e venti minuti arrivo sulla cima del Corno dove c'è il ristoro. Ricordandomi il freddo patito lo scorso anno bevo qualcosa di caldo, mangio e mi vesto con i pantaloni e la giacca antivento, mi fermo solo il tempo necessario e riparto.
Da qui in avanti inizia il vero percorso, il tratto precedente si può considerare solo un lungo avvicinamento in quota. Ormai il gruppo si è già diluito parecchio e non è facile trovare compagnia e qualcuno con cui scambiare due chiacchiere, soprattutto qualcuno che parli italiano. Sono nel pieno della notte e immerso nei pensieri affronto il difficile tratto che culmina alla Forcella di Sarentino, caratterizzato da frequenti guadi e terreno poco amichevole. Per fortuna quest'anno il percorso è stato tracciato alla perfezione, bandierine gialle con catarifrangente integrate da segnalazioni con spray verde fluo: è impossibile sbagliare e procedo con un confortato da un piacevole senso di sicurezza. Sul percorso ci sono pochi volontari, appena appena l'essenziale e solo nei punti dove si scollina. Con un po' di ritardo sulla tabella di marcia che mi ero prefisso, arrivo alla Croce di Latfonz, fantastico balcone con vista sulle Dolomiti. Si è da poco fatto chiaro, ha smesso di piovere e mi aspetta ancora almeno una lunga giornata tra sassi, forcelle, creste e i tanti nevai che a memoria delle abbondanti precipitazioni dell'inverno scorso. L’andatura è lenta, il terreno spesso bagnato e scivoloso non mi permette di correre molto: troppo tecnico per le mie caratteristiche. Così decido di procedere con prudenza, capisco che impiegherò molto ma almeno cerco di non farmi male. Condivido una parte di marcia con un ragazzo sloveno: dopo averlo superato per due volte, per due volte ha dovuto richiamarmi sul percorso perché stavo andando fuori strada. Così trascorriamo un’oretta con qualche battuta e con la garanzia, per me, di seguire la strada giusta. In poco più di 13 ore e mezza arrivo al Passo Pennes, mio punto finale della gara dello scorso anno e giro di boa di quella di quest’anno. Sono in ritardo di almeno un’ora e mezza ma abbondantemente entro i cancelli orari. Qui so che troverò la mia sacca trasportata dall’organizzazione. Mi prendo tutto il tempo per fermarmi e riposare. Mi cambio completamente, scarpe comprese, massaggio e asciugo i piedi riempendoli di crema e mangio un bel piatto di pasta con una birra (analcolica). Dopo circa mezzora riparto, sto bene.
Prossima salita il Giogo di Frane, già il nome non promette bene. Lascio il Passo Pennes per un lungo e piacevole traverso. Poi comincia la salita e subito incontriamo i primi nevai. Davanti a me sempre lo sloveno che procede sicuro con un buon ritmo, troppo veloce per me, forse aiutato dalla musica che sta ascoltando. Lui passa il nevaio in agilità, io appena metto i piedi sulla neve vedo che la traccia è minima: procedere è veramente impegnativo. Arrivo a metà, non c’è molta pendenza ma il nevaio è bello lungo, un passo incerto e sono a terra. Inizio a scivolare, impossibile fermarsi, impossibile puntare i bastoncini. Cerco di stare diritto, sorvolo alcuni sassi affioranti e dopo almeno 50 metri mi fermo sul ghiaione in fondo. Piccolo controllo, tutto a posto, solo qualche abrasione, ma un grosso spavento. Mi rialzo, abbastanza scosso appena in tempo per segnalare il pericolo e suggerire a chi stava arrivando dopo di me di spostare una bandiera qualche metro sotto e indicare un passaggio più sicuro sullo stesso nevaio.
Ci vorrà un bel po’ per riprendermi e forse questo episodio condizionerà il resto della gara. Comincio ad essere molto prudente ed a preoccuparmi solo minimamente di come stanno le gambe, dell’alimentazione, dell’abbigliamento. Penso solo a quanti altri passaggi esposti e impegnativi avrei ancora incontrato prima di arrivare a Bolzano.
La salita al Giogo delle Frane e quella successiva all’Alplernieder - su terreno di alta montagna con frequenti tratti impegnativi e sentieri sempre stretti e sconnessi - mi affaticano notevolmente, più la testa che le gambe dato che il ritmo è ormai diventato lentissimo per fare posto alla prudenza.
Senza che me ne accorga è già pomeriggio, tardo pomeriggio. Quando la discesa dell’Alpernieder si fa più facile ho tempo di radunare le idee. E’ uscito un bel sole, i colori sono sempre più intensi, il bianco della neve lascia il posto al verde dei primi cespugli ed ai rododendri in fiore. Una bella pace. Finalmente mi rilasso, sto bene ma purtroppo la testa sta per abbandonarmi. Penso alla prossima salita, al fatto che dovrò affrontarla al limite del giorno e soprattutto che sul roadbook è segnalata ancora come impegnativa. Faccio due conti e capisco bene che se decidessi di proseguire dovrei affrontare ancora un’intera notte. Pensare di procedere affaticato ancora su terreno tecnico mi scoraggia e per questo decido di fermarmi e chiudere la gara al successivo ristoro. Non voglio rischiare, mi brucia molto ma prevalgono sconforto e prudenza.
Ed è qui che succede il miracolo!
Sto cercando di chiamare Eli (mia moglie) per avvisarla che mi sarei fermato e che in qualche modo avrei provato a raggiungere Bolzano per raccogliere le mie cose. Non risponde, non è a casa, mah! Anche il cellulare non dà segni di vita…
Provo una seconda volta e mentre alzo un attimo gli occhi me la trovo davanti sul sentiero: un’apparizione! Una sorpresa fantastica! Me lo legge in viso che sono stanco e depresso e non ho nemmeno il tempo di dirle che mi sto ritirando che con un sorriso mi dice che non se ne parla nemmeno e che al vicino ristoro ci sarà anche la piccola Tsion a salutare papà! Non dico nulla, obbedisco ed arrivo alla malga: il sole è basso, i colori fortissimi. Abbraccio la piccola, mi torna il sorriso, riposo un po’ mangiando zuppa, pane, speck, e dopo aver bevuto un paio di bicchieri di coca e riempite le borracce riparto con il morale a cento, più che convinto di arrivare a Bolzano. Dentro di me penso che sarà solo merito della sorpresa che mi hanno organizzato Eli, Tsion, Daniela, Gianni e Sara se riuscirò a finire questa gara.
Salgo verso il Giogo Piatto facendo a gara con il sole ancora a galla per pochi minuti sopra le cime della Venosta. Scollino ai quasi 2.700 metri dopo aver attraversato (spero l’ultimo) tratto di roccette e ripidi nevai. Scambio due chiacchiere con i ragazzi del soccorso. Non chiedo informazioni sul percorso dato che troppe volte fino ad ora ho avuto risposte che non erano confermate dal tracciato che avrei trovato dopo. O meglio erano confermate ma le soglie di sicurezza e grado di difficoltà degli altoatesini devono essere molto più alte delle mie.
E’ ormai notte, la seconda notte. Sto ancora bene, riesco a mangiare e bevo in continuazione. Procedo in solitudine seguendo i catarifrangenti e le luci delle frontali sempre molto distanti. Arrivato al Meranerhutte mi sembra sia passata un’eternità da quando ho lasciato l’Hirzerhutte e salutato Eli e Tsion. Il rifugio appare come un’astronave dopo ore di buio totale illuminato solo dal fascio di luce della mia frontale. Negli ultimi metri sono raggiunto da tre ragazzi di Bolzano con i quali mi siedo e mangio l’ennesima ottima zuppa bagnata da Coca Cola e accompagnata da qualche pezzo di pane. Lo stomaco risponde bene, inizio però a sentire una forte stanchezza e un po’ di freddo. La Coca non basta per svegliarmi, o parto o mi addormento. Così saluto tutti e mi avvio da solo. Dopo pochi metri mi accorgo che sono veramente stanco, in certi tratti faccio fatica a tenere aperti gli occhi. Mi raggiungono i ragazzi di Bolzano ai quali credo di aver fatto pena. Decidono di adottarmi e mi dicono “Seguici, vieni con noi”. Ci provo, sicuro di dovere abbandonare il gruppo troppo veloce già dopo pochi metri. Invece improvvisamente mi sveglio, secondo miracolo della giornata, sto bene e mi trovo a sostenere un ritmo fino a pochi minuti prima impensabile fossi stato da solo. Chiacchieriamo piacevolmente scoprendo amicizie comuni. Un po’ alla volta il buio lascia posto alle prime luci dell’alba. Arriviamo agli Omini di Pietra, forse ultima vera salita, scendiamo verso Lavenna e quando ormai si è fatto giorno arriviamo sull’altopiano del Salto con i suoi splendidi prati e i larici che in tutte le stagioni rendono questo posto veramente magico. Scendiamo a San Genesio, ormai manca veramente poco: solo l’ultima picchiata, dura e cattiva su Bolzano, ma ormai non ci ferma più nessuno. Inizia a crescere l’adrenalina, la stanchezza accentua l’emozione e la sensibilità, forse scende anche qualche lacrima quando arrivo a Bolzano e inizio a correre sull’ultimo chilometro di ciclabile. Trovo Eli, sapevo che ci sarebbe stata ad aspettarmi. Mi fermo, ci abbracciamo e cammino con lei fino al traguardo che taglio dopo 32 ore 41 minuti e 51 secondi.
Medaglia, maglia di finisher e birra. Mi siedo su una panchina e assaporo la gioia per questa mia piccola impresa.
SITO DELLA GARA: http://www.suedtirol-ultraskyrace.it