Il Tor des Geants di Luca

Creato Lunedì, 29 Ottobre 2018 20:45
Scritto da Luca

Tor des GeantsIl mio Tor des Geants

 

Ancora una volta provo a fissare i miei disordinati pensieri sull'esperienza da poco completata lungo i sentieri della Val d'Aosta, lungo le Alte Vie 1 e 2 di questa magnifica valle, sul percorso del Tor des Geants.

Pensieri disordinati di un percorso durato in realtà quasi dieci anni, dal momento in cui lessi dell'Edizione Zero di questa manifestazione che a molti sembrava pura follia ma a me incuriosiva tanto.

Dieci anni in cui ho seguito tantissimi amici impegnati in questa prova. La settimana del Tor è sempre stata la più improduttiva dell'anno dal punto di vista lavorativo perché rimanevo collegato ore per attendere i loro passaggi ai vari punti di controllo, dalla mattina alla sera e a volte anche di notte per sapere dove si trovassero e quanto mancasse al successivo punto di ristoro e riposo. Ore a pensare a come fosse possibile trascorrere così tanto tempo in giro per sentieri dormendo così poco, a come fosse possibile fare così tanti metri di dislivello positivo e soprattutto negativo.

Per anni ho pensato di iscrivermi ed ho avuto paura di farlo, giustificato anche dal fatto che ero impegnato con il Dolomiti di Brenta Trail. Lo scorso anno ho avuto però una fortissima crisi di "rigetto" di fronte a tutti gli impegni e le responsabilità da "organizzatore". Nonostante la condivisione di tale ruolo con tre grandissimi amici, una sensazione di ansia mi ha portato a dire basta e a considerare chiusa questa mia esperienza (rasserenato in ogni caso dal fatto che le cose - come sempre succede - vanno avanti anche al di là dei singoli). Risollevato dunque da tale decisione mi sono detto che per il 2018 dovevo pensare a qualcosa di grande visto che era l'anno dei 50 !

Pensare al Tor des Geants è dunque stato immediato essendo indubbiamente la gara "più grande" di tutte nell'ambito delle manifestazioni trail.

Dal primo gennaio 2018 ho così cominciato mentalmente a prepararmi per questa esperienza che avrebbe poi caratterizzato "sportivamente" il mio cinquantesimo anno.

Appena aperte le iscrizioni sono lì con la mia immediata preiscrizione, pieno di entusiasmo e ottimismo. Ancora una volta si abbatte però su di me la "scure" del sorteggio ! Ben tre ne ho fatti all'UTMB e per ben tre volte sono stato "rifiutato" e questa tradizione negativa si conferma anche al Tor. Anche questa volta vengo infatti scartato e finisco quasi in fondo alla lista per gli eventuali ripescaggi. Il mio nominativo deve essere stato inserito in una strana black list dei sorteggi delle gare trail.

Luca e MicheleE' il momento dello scoramento. Michele però mi rincuora subito e mi dice di continuare ad allenarmi che sicuramente si riuscirà a rimediare e a trovare il modo di correre questo Tor.

Michele .... devo dire subito che questo mio Tor è soprattutto il suo Tor.

Merito soprattutto suo l'avermi ammaliato con questa gara che ha già fatto quattro volte e ad ogni suo ritorno mi ha dato la possibilità di leggere nei suoi occhi quanto sia speciale l'esperienza vissuta; merito sicuramente suo essere riuscito a coinvolgere tante persone per cercare di trovare il modo di farmi arrivare al via di questa manifestazione; merito suo, assieme a Marco, se Montane Italia ha preso in considerazione la mia candidatura come wild card permettendomi di essere al via del Tor 2018 nonostante non sia certo mai stato un top runner!

E così a marzo mi dicono di allenarmi, che il posto c'è e correrò vestendo i colori del Team Montane. Una doppia soddisfazione perché potrò esserci e perché rappresenterò il team dello sponsor principale (che avrò poi modo di conoscere bene e apprezzare) ma anche una responsabilità perché si sono spese buone parole sulle mie "potenzialità" ed io ho più timori che certezze!

Passa il tempo e non vedo il mio nome tra gli iscritti definitivi .... mi dicono di stare tranquillo e allenarmi .... ma io ovviamente non posso stare tranquillo per niente .... sento la tensione, scrivo a destra e rompo a manca, .... continuano a dirmi di stare tranquillo ma ci riesco solo nel momento in cui, un paio di mesi dopo, mi leggo nell'elenco iscritti: sì ci sono ! A settembre sarò sulla linea di partenza di Courmayer !

A questo punto bisogna forse fare un piccolo passo indietro per cercare di capire il perché ho scelto proprio il Tor per onorare degnamente i miei primi cinquant'anni. Ovviamente la risposta è che non lo so; forse l'ho scelto perché per tutti è il traguardo di una carriera da trailer amatoriale, forse perché il riuscire a completare il percorso ti carica di autostima e ti fa godere della stima altrui ed abbiamo bisogno anche di questo (inutile negarlo), ma forse il vero motivo è che quel senso di ansia provato mesi prima e maturato in me dopo anni dedicati ad organizzare per gli altri e in mezzo agli altri mi ha spinto a voler vivere un grande viaggio solo per me e solo con me stesso. Un grande viaggio immerso tra le montagne, aspettando albe e tramonti, godendo anche della severità dei luoghi, provando emozioni. Un viaggio con me stesso, con i miei pensieri, con la volontà di competere per scoprire ancora una volta i miei limiti e, avvicinandomi ad essi, provare sensazioni forse mai conosciute sino ad oggi.

Non è pertanto solo un viaggio "di piacere" che cerco. Per rendere ancora più difficile il mio arrivare a completare il percorso ho bisogno di viverlo anche in una competizione contro i miei limiti, le mie debolezze fisiche e mentali, ed il confronto con gli altri sarà evidentemente un importante metro di valutazione. Non andrò alla partenza del Tor per arrivare (non sarà solo l'idillio dello spirito trail), ma ci andrò per arrivare il meglio che potrò, consapevole che sarà dura, che dovrò ascoltare continuamente i messaggi del mio corpo e della mia testa, ben consapevole di ciò che sarà necessario fare per riuscire effettivamente ad arrivare in fondo.

E con questa esigenza interiore ho iniziato a percorrere chilometri e metri di dislivello, combattendo quotidianamente con gli impegni lavorativi e famigliari. Otto mesi dedicati sia mentalmente che fisicamente a questa gara, otto mesi difficili perché ai problemi quotidiani si sono dovuti aggiungere due tristi accadimenti che mi hanno svuotato e abbattuto. La perdita del nostro cane, il mio Tobia, ho pianto molto per le sue sofferenze e la sua morte; l'improvvisa e drammatica scomparsa di Enzo, l'amico di una vita, l'amico con cui ho condiviso dalle avventure giovanili ai quotidiani impegni dei figli, che mi ha lasciato a lungo senza parole, persino senza fiato.

Sono così arrivato al Tor sostanzialmente e volutamente da solo, affrontando lunghi allenamenti in solitudine, ricercando per monti quella serenità persa, cercando di dare un senso alle tante cose accadute. Sentivo dietro di me i passi di Tobia e mi immaginavo un paradiso per Enzo molto simile ai posti meravigliosi attraversati.

Molte occasioni anche di correre in compagnia avendo la fortuna di avere tanti splendidi amici che condividono questa mia passione ma quest'anno è andata così, un po' in disparte.

PartenzaE siamo giunti al 9 settembre, lasciando finalmente spazio ad una piacevole sensazione di panico! Per fortuna non sono solo a vivere queste emozioni perché assieme a me ci sono Michele, Luca e Alessio, compagni di tanti chilometri e amici fidati. Michele e Luca sanno già perfettamente cosa aspetta loro mentre io e Alessio siamo le matricole, tutto è nuovo e possibile fonte di preoccupazione.

Siamo così sulla linea di partenza in centro a Courmayer, pronti a partire. Fa caldo, molto caldo e non so a cosa vado incontro, non so cosa siano 24.000 metri di dislivello che tutti mi dicono essere molti di più, non so come il mio corpo risponderà dopo ore di sonno perse e fatiche fatte, non so se arriverò di nuovo a Courmayer con le mie gambe o se ci arriverò su un mezzo dell'organizzazione ! Solo l'inizio della gara può rasserenare i tanti pensieri.

Mi risuonano in testa le parole di Flavio: parti piano, lascia andare Michele, pensa solo ad andare piano che tanto è lunga. Ma tra il dire e il fare ..... e così sono lì che corro per le vie del centro. Dopo essere stato fermo al caldo per oltre un'ora mi sembra che il ritmo sia infernale, tutti che vanno "a ciodo", tutti sembrano assillati dal restringimento alla fine di Dolonne dove la strada si trasforma in sentiero ! Miseria, anch'io sono "a ciodo"! Non era così che pensavo fosse la partenza del Tor. D'altra parte sono qui con Luca (Michele è già andato) e anche lui corre, corre anche sulla salita asfaltata che porta all'inizio del sentiero, e se non cala lui non calo nemmeno io, ecco, quando si dice che "gara l'è gara!!!

Mi volto e non vedo più Alessio. Lui sì che è saggio penso. Ha deciso di adottare una condotta prudente ed è fedele alle sue previsioni, non è come me che mi faccio sempre "prendere".

E immerso tra questi pensieri imbocco il primo sentiero e inizio a salire in mezzo a una lunga colonna di quasi novecento atleti, lungo il percorso che conduce a Col d'Arp. I minuti cominciano a scorrere dapprima veloci, come i nostri pensieri e la nostra frequenza cardiaca, per poi rallentare un po' assecondando il nostro ritmo che si fa finalmente un po' più sereno ed equilibrato.

Man mano che si sale ci si allontana dal mondo sottostante, si entra finalmente in una dimensione diversa, in uno stato come di sospensione .... semplicemente ci si muove in avanti pensando al Col d'Arp, poi a La Thuille, ... poi si penserà al Rifugio Deffeyes e solo dopo aver raggiunto questo si penserà al Passo Alto e così via, un tratto alla volta, una difficoltà alla volta.

Discesa verso La ThilleSto bene, si chiacchiera con Luca e soprattutto si cerca di trovare il proprio ritmo. Prima di affrontare l'ultima parte della prima salita vedo Michele che è lì davanti, o meglio "sopra", ci saranno solo cinque/sei minuti tra noi. E' così che forse involontariamente aumento la mia velocità e supero un paio di concorrenti che mi precedono, poi mi giro e vedo che Luca ha perso qualche metro. Scollino, rallento per aspettarlo ma non arriva (scoprirò poche ore dopo che ha avuto un fastidio fisico che lo ha rallentato) e allora inizio a scendere corricchiando la bellissima discesa che porta a La Thuille. Mi ricordo quando anni fa avevo fatto questi sentieri al contrario durante il Trail Valdigne. Ed ecco che al ristoro ritrovo Michele. Forse sono troppo veloce, ho fatto una cazzata, Flavio mi aveva detto di lasciarlo andare, ma vabbé è troppo bello essere qui con lui e penso che sarà una fortuna condividere quanto più possibile questa avventura.

Sono qui per fare il mio viaggio ma con Michele, così come con Luca e Alessio, è come essere in famiglia. Abbiamo fatto tantissimi chilometri insieme. Gli equilibri sono ormai consolidati e dunque è solo un piacere poter stare qui insieme.

Rifugio DeffeyesPeraltro a farmi temere di essere troppo veloce vi sono anche i pettorali di tanti concorrenti con cui mi trovo a condividere questa prima parte di gara. Qui al Tor gli atleti che hanno corso anche l'anno prima riportano come numero di pettorale la posizione conseguita al termine della gara. Vicino a me vedo pettorali attorno al settanta, al cinquanta, persino al trenta ..... evidentemente se loro sono qui io sono nel posto sbagliato .... ma certo non mi fermo per veder passare pettorali con un numero più alto !!!! Avanti dunque, sempre e solo avanti !

E così procediamo passando dal Passo Alto e poi al Colle Crosatie per raggiungere insieme Valgrisenche. In salita si cerca di tenere un ritmo regolare e continuo, mentre in discesa si corricchia sempre, salvo che non si debbano superare tratti molto ripidi o dal fondo particolarmente sconnesso.

Poco prima della base vita ci supera di gran carriera Luca che ha evidentemente ritrovato un'ottima condizione. Sembra volare ..... e infatti vola via dandoci la concreta percezione di quanto in realtà stiamo andando piano !

Dalla base vita di Valgrisenche usciamo comunque in tre, con Luca e Michele iniziamo la prima delle tre terribili salite che ci separano da Cogne: il Col Fenetre, l'Entrelor e il Col Loson.

Nel buio della notte mentre Luca mi racconta i problemi affrontati prima del Col d'Arp ci accorgiamo di aver perso Michele. Lo sentivamo tossire pochi metri dietro di noi ma poco a poco ha perso terreno nonostante il nostro ritmo sia costantemente lento. Procediamo convinti che ci riprenderà quanto prima e così passiamo una notte impegnativa tra le ripide salite e le altrettanto erte discese di questi tre colli. L'alba ci accoglie mentre scendiamo dall'Entrelor verso Eaux Rousses e una splendida vista sul Gran Paradiso ci fa capire che siamo qui per questo, per perderci nella bellezza di questa natura, di questo mondo, per riscoprire quanto è bello respirare l'aria del mattino in una splendida giornata. E dopo l'Entrelor ci apprestiamo a salire il Col Loson che con i suoi 3296 m. è la cima Coppi del Tor. Bello, bello, bello: questo vallone in salita e questo sentiero in discesa dopo il colle che dapprima sospeso e poi con lunghe zete ci porta al rifugio Sella. Da qui poi a Cogne, la seconda base vita al km 107 circa.

Salita al Col LosonCol LosonVerso rifugio SellaA casa, quando mi ritrovavo a pensare a strategie e soluzioni "sulla carta", avevo ipotizzato di "tirare" i primi due giorni senza dormire ma poi sul campo le cose vanno sempre in modo diverso. Nei primi 100 km si supera un dislivello decisamente importante, oltre 9800 metri di d+, con le salite forse più impegnative di tutto il percorso. Giungiamo così a Cogne nelle prime ore del pomeriggio con un caldo impressionante che aumenta la sensazione della fatica accumulata. Valutiamo quindi con Luca l'opportunità di fermarci a dormire un'oretta e mezza in modo da recuperare un po' di energie e saltare le ore più calde che avrebbero potuto rendere oltremodo difficoltoso affrontare la tratta successiva con il rischio di trascinarsi per ore e poi doversi fermare più a lungo magari in quota, dove è più difficile recuperare le forze.

La scelta risulta azzeccata. Non riesco a dormire molto ma alla ripartenza, un paio d'ore dopo, sono molto più fresco sia di testa che di gambe.

Riparto però con una sensazione stranissima avendo avuto l'allucinazione più limpida della mia vita. Racconto quindi a Luca che mentre eravamo sulle brandine a dormire avevo sentito la voce di Michele e lo avevo chiaramente visto seduto sulla panchina a una decina di metri circa, in prossimità dei lettini dove i fisioterapisti trattavano gli atleti "bisognosi". Tra me e me mi ero quindi detto che era il caso di dormire ancora un po', sicuro che al risveglio di lì a pochi minuti avrei ritrovato Michele intento a farsi fare un massaggio. L'immagine era stata talmente chiara e la voce inconfondibile che dopo essermi alzato per ripartire ero entrato nell'area dei fisioterapisti per cercare Michele, persino chiamandolo ma senza avere soddisfazione visto che sui lettini c'erano solo atleti stranieri. Pensando quindi che Michele fosse ripartito senza accorgersi della nostra presenza, mi ero recato dagli addetti al controllo e al cronometraggio per chiedere a che ora fosse uscito dalla base vita. Con grossa sorpresa scoprivo così che Michele non era mai entrato e i dati dell'organizzazione lo davano qualche ora più indietro. Mah! Io ero sveglio e l'immagine era stata chiarissima, anche la voce !!!! Inspiegabile anche perché erano poi solo una trentina di ore che non dormivo.

Verso rifugio SognoCon questi imbarazzanti pensieri iniziamo nuovamente a salire ed è bellissima la luce del tramonto mentre raggiungiamo il rifugio Sogno di Berdzé.

Dopo qualche tazza di the e biscotti usciamo che è ormai notte (anche se sono solo le 20.00) ed affrontiamo la breve salita alla Fenetre di Champorcher per poi intraprendere l'eterna discesa verso Donnas. ETERNA!

Un ottimo caffé al rifugio Dondena ci offre un po' di conforto. Non ci vogliamo però fermare perché Donnas sembra lì ad aspettarci, vogliamo arrivarci per poter mettere in saccoccia un ulteriore tratto, la terza base vita, quasi metà percorso, la fine dell'Alta Via n. 2. Non possiamo fermarci, non è in alcun modo ipotizzabile e quindi giù lungo il terribile tratto che porta a Champorcher (quante maledizioni .... e Luca che mi racconta che Flavio gli aveva descritto questa lunga discesa come "tutta corribile" .... "i me coioni!!", se mi passate il francesismo), e poi alla delirante ricerca di Pont Boset (di cui ci saranno almeno cento frazioni, non esagero!) fino a pensare di essermi perso all'uscita di Bard prima di rivedere le luci di Donnas.

Sì perché per la prima volta dopo tante ore nell'ultimo tratto di discesa dopo il finalmente raggiunto abitato di Pont Boset sono rimasto nuovamente da solo. Luca infatti, sottolineando che sono un rompiballe che non gli consento di trastullarsi alle basi vita tra massaggi, docce e incerottamenti vari, mi lascia lungo la discesa in modo tale da poter raggiungere prima Donnas e potersi dedicare a queste piacevoli cure. Luca "ne ha" molto più di me, è tutto il giorno che gli dico di andare visto che ha gamba e sta bene. Ma vuole essere prudente e dunque solo ora decide di allungare ..... e non ci mette molto a farlo .... io scendo con il mio ritmo, lui con le sue lunghe leve e per la seconda volta in questo Tor vola via!

A Donnas lo ritrovo già docciato. Evidentemente nell'ultima ora e mezza di percorso mi ha rifilato almeno venti minuti. Ma sto bene e andiamo così a dormire un'oretta che quasi metà gara è fatta!

Questa volta riesco a riposare un po' meglio. Un'oretta penso di averla quasi dormita. Mi alzo quindi, non vedo Luca sulla sua brandina, sistemo lo zaino e vado a mangiare qualcosa prima di ripartire. Pochi minuti e sono pronto. Luca invece è ancora sdraiato sul lettino del fisioterapista a farsi incerottare le gambe (peggio di una top model !!!). Deve finire questa operazione chirurgica, deve sistemarsi e mangiare !!!! Visto come è andata nella parte finale dell'ultima discesa gli dico "io piano piano vado, tanto mi raggiungi in poco tempo".

Mario verso il CodaE' così riparto da Donnas, da solo, manca poco prima che venga giorno, un nuovo giorno .... abbiamo già dietro le spalle due notti e oltre 150 km, .... sto bene! Nella prima parte di questa "quarta tratta" si sale qualche centinaio di metri per poi ridiscendere e iniziare quindi finalmente la vera salita verso Sassa e il rifugio Coda. Mi giro spesso per vedere se Luca arriva ma niente, non si vede; procedo inizialmente tranquillo in attesa del suo arrivo ma poi riprendo un buon ritmo anche perché mi perdo a conversare con Mario con il quale condivido tutta la salita fino al Coda.

Al rifugio Coda trovo un volontario che veste la maglietta arancione del Vigolana Trail: il primo trail organizzato da Trentino Trail Running. Una certa emozione vederla qui, ora! Piacevolissima sosta, un piatto di pasta eccezionale e una bella birra accompagnati dalle chiacchiere e i ricordi con questo volontario/atleta.

Si riparte rigenerati anche se il caldo si fa sempre più sentire. Saluto Mario, lui in discesa va decisamente più veloce di me ed è giusto che vada.

Piacevolissimo il tratto che porta al rif. Barma e poi via fino al Colle della Vecchia dove si trova uno dei punti di controllo più caratteristici del Tor. Lì mi aspetta infatti un piatto di polenta con il formaggio e un'altra buonissima birra. Si ride e si scherza con i volontari e prometto loro che posterò su FB la foto del ristoro per ringraziarli dell'accoglienza e il trattamento. E poi giù, la lunghissima discesa verso Niel (sì, lunghissima anche questa, qui sono tutte lunghissime sia le salite che le discese!!!).

A Niel ingurgito alla velocità della luce un altro piatto di polenta. Voglio ripartire in fretta, voglio arrivare a Gressoney e mi manca solo la salita al Col di Lazoney e la successiva discesa. Quindi mangio, bevo e riparto approfittando delle ultime ore di luce. Un'altra serata fantastica, telefono a casa (domani è il primo giorno di scuola dei figli) e via lungo una piacevole salita. Purtroppo però poco dopo esser ripartito mi accorgo di non aver riempito le borracce !!! Azzz !!! Mi maledisco e mi rivolgo una serie di improperi. Non è possibile fare un simile errore che potrebbe compromettere le mie condizioni fisiche visto che impiegherò qualche ora prima di raggiungere il prossimo ristoro e così la possibilità di idratarmi adeguatamente. Salendo cerco di raschiare qualche rivolo d'acqua ma racimolo veramente poca cosa.

Questa situazione non mi impedisce comunque di godere dei luoghi fantastici attraversati. Dopo il Colle il percorso attraversa una piana bellissima e i colori lasciati dagli ultimi raggi di luce rendono sicuramente indimenticabile questo momento. Sto bene anche se ho una sete notevole!

Fortunatamente mi raggiunge e mi supera Francesco (Rigo) che mi cede generosamente l'acqua che ha con sé e riparte a tutta ! Raggiungo poi finalmente il ristoro di Loo dove oltre a bere posso assaporare una varietà di formaggi e salumi locali che meritano cinque stelle. Sarebbe da sedersi a tavola e qui rimanere per ore ma Gressoney ormai è a portata. Continuo così a scendere. Ci sono. Entro alla base vita e trovo l'amica Giada di Team Montane che rassicuro sulle mie condizioni: nonostante ciò che potrebbe sembrare, le dico, sto bene ! Il morale è alto anche perché mi aspetta finalmente un'altra oretta di sonno.

Solita brandina, solita coperta, solita difficoltà a prendere un vero sonno, solita velocità con cui trascorre il tempo del riposo in questa fantastica gara. Sono infatti di nuovo in piedi, un piatto di pasta e sono pronto per ripartire nel pieno della notte. Una volontaria già incontrata nelle basi vita precedenti mi dice "la tua fidanzata mi ha detto di dirti di andare in zona fisioterapisti prima di ripartire"! E' Luca ovviamente che si fa "maneggiare" per l'ennesima volta ! Se gli dovessero far pagare le ore di seduta su quei lettini e i metri di cerotti colorati variamente posizionati sulle sue gambe dovrebbe lavorare mesi per saldare i debiti !!!

A parte gli scherzi mi dice di essere appena arrivato. Vuole sistemarsi e poi andare a dormire. Tutto bene comunque .... se ci sarà modo ci si incontrerà nuovamente.

Continua così la mia corsa, da solo. Nel buio della notte, lungo la salita verso il Col Pinter, vedo in lontananza un paio di luci di pile frontali; dietro di me sono lontane quelle delle persone che mi seguono.

Salgo bene, la temperatura è mite e non mi sembra di fare eccessiva fatica; più dispendiosa è invece la discesa anche perché spesso - specie nei primi tratti di ogni discesa - il fondo è tecnico e ripido. Comunque continuo ad andare pensando solo di raggiungere il prossimo ristoro. Dalla partenza gli unici dati che controllo sull'orologio sono l'ora e la quota. Non mi preoccupo di altro e dunque continuo a scendere fino a raggiungere Champoluc. Devo dire che si sta meglio in alto durante la notte perchè nel fondo valle l'umidità cresce a livelli esponenziali. Entro nel ristoro e mi accorgo di essere veramente stanco. Ho un sonno notevole ma qui è freddo e umido e ho solo voglia di ripartire anche se è evidente che non sono in forma. Qualche atleta dopo di me entra e si dirige subito nella zona delle brandine per dormire; qualcuno esce da questa area dedicata al riposo con aria quasi allucinata. L'ambiente è un po' triste e spoglio. Bevo pertanto un paio di tazze di the con i biscotti prima di prendere coraggio ed uscire dal ristoro. Sta arrivando il giorno e questo è sempre una buona cosa. Attraverso il parco del paese e poi percorro il tratto di strada asfaltata che conduce a Saint Jacques ... gli occhi mi si chiudono, barcollo, sbando evidentemente .... ogni duecento metri circa mi fermo, mi piego sui bastoncini , chiudo gli occhi due, tre, quattro secondi e li riapro per non correre il rischio di addormentarmi e cadere! Trascorro in questo modo le due ore forse più dure di tutto il Tor. Non riesco a svegliarmi ed attendo solo che arrivi il sole che forse scaldandomi riuscirà a tirarmi fuori da questo torpore. E' così che raggiungo il rifugio Grand Tournalin, faticosamente !

Col de NannazAl rifugio bevo un caffé. Il cambio di ambiente, due parole con i rifugisti e una sosta tecnica in bagno mi danno velocemente nuova vita e decido di ripartire subito ... c'è ancora un tratto di salita per arrivare al Col di Nannaz e fuori c'è una luce bellissima. Alle volte basta poco, anche solo un qualcosa che magari non riusciamo a percepire, per modificare il nostro stato mentale e di conseguenza le nostre condizioni fisiche.

Dal momento più duro ad uno dei momenti forse più emozionanti. L'arrivo al Col di Nannaz è infatti fantastico, sono forse da poco passate le 8.00 e come detto c'è una luce che fa risplendere tutto intorno a me mentre nel fondovalle è ancora tutto grigio. Mi giro e vedo tutto il gruppo del Monte Rosa schierato, con un cielo azzurro che contrasta incredibilmente con le bianche nevi dei suoi sofferenti ghiacciai. Che spettacolo ! Ed iI tratto dal Col di Nannaz al successivo Col des Fontaines è forse uno dei più belli, per il particolare momento della giornata e per le mie condizioni, ma soprattutto per l'emozione di superare questo secondo colle e poter ammirare in tutto il suo splendore il Cervino, che all'improvviso appare e svetta sopra tutte le altre montagne circostanti, che sembrano diventare quasi insignificanti. Qui capisco perché il Cervino è e resterà sempre la montagna per eccellenza. La mia attenzione ed il mio entusiasmo per questa visione è però subito distratto dalla presenza a pochissimi metri di un gruppo di stambecchi. Sicuramente uno degli istanti, dei fotogrammi più belli di questo mio Tor. Era forse questo che speravo di vivere: immagini ed emozioni da contatto con un ambiente naturale unico, così lontano da ciò che quotidianamente contraddistingue le nostre giornate. Sono qui da solo e sto ancora bene. La crisi di sonno di un'ora prima è lontana anni luce e posso ora godermi anche l'intera discesa che porta a Valtournenche.

Col des FontainesCol des FontainesSupero una inossidabile Giuliana che procede dall'inizio della gara senza bastoncini: troppo forte. Mi godo appieno questo momento e corro, corro fino alla base vita di Valtournenche dove entro felice ! Un piatto di riso freddo, una macedonia, un po' d'uva e sono pronto a ripartire. Nel frattempo arriva anche Mario che reincontro volentieri. Mi aveva distanziato in discesa dal rifugio Coda ma poi sicuramente si sarà fermato a dormire e non mi sono accorto di averlo superato. Un sorriso, un saluto e riparto.

Il mio entusiasmo per aver superato anche questa penultima base vita si scontra questa volta velocemente e frontalmente con il gran caldo che nel frattempo ha invaso il fondovalle. Inizia peraltro una impegnativa salita che porta al rif. Barmasse nei pressi della grande diga di Cignana. Ora il mio passo si accompagna a quello di Gennaro, anche lui ottimista e carico per affrontare gli ultimi cento chilometri. Chiacchiera molto ed io forse non sono per lui il compagno migliore da questo punto di vista. Al rifugio riparto velocemente mentre lui si attarda, poi mi raggiunge e proseguiamo per un po' ancora insieme fino a quando i miei occhi cominciano a chiudersi. Siamo su una comoda strada forestale, saranno le tre o le quattro del pomeriggio .... non riesco a tenere gli occhi aperti e procedo veramente a fatica. Cerco di tenere botta ma non ce la faccio proprio. In un tratto di salita ho distanziato leggermente Gennaro ma appena arrivato sul facile piano mi sembra vengano meno tutte le energie .... mi sto spegnendo .... mi sto .....

Inutile insistere, mi risuonano in testa i consigli di Michele e Flavio di non forzare oltre un certo limite la resistenza al sonno e allora decido di sdraiarmi a bordo forestale, sulla ripa erbosa, tiro fuori dallo zaino il telefonino e imposto la sveglia tra quindici minuti .... porca miseria il livello della batteria del telefono è molto basso !!!! Cavolo .... speriamo duri e riesca a suonare tra quindici minuti .... ma non posso fare altro, sto crollando .... passa Gennaro e gli dico che devo necessariamente staccare la spina e che quindi vada tranquillamente avanti .... finalmente dormo, forse per la prima volta in tutto il mio Tor riesco a dormire veramente .... o forse sono svenuto ... poco conta atteso che pochi minuti di disattivazione di tutte le funzioni vitali sono miracolosi.

Improvvisamente mi sveglio .... che ore sono ? Ho ancora il telefono in mano .... controllo l'ora ! Saranno forse passati otto o nove minuti ma decido di non concedermene altri ... mi sento molto meglio (relativamente molto meglio) e quindi è il caso di approfittarne per raggiungere almeno un adeguato punto di ristoro ... ho peraltro il forte timore che se mi riaddormento non mi risveglio più per ore. Una lunga forestale mi porta a Gordza dove decido di bermi una coca e un caffé. Devo dire che ho cercato di evitare la coca cola per quasi tutta la gara per non correre il rischio di avere problemi di mal di stomaco a causa del gran caldo e sinora è stata una mossa azzeccata (visti anche i tanti atleti che invece hanno avuto notevoli disturbi di questo tipo), ma quando ci vuole ci vuole !

Riparto decisamente meglio anche perché il sentiero dopo poco ritorna ad essere un single track con una bella salita ed una successiva ripidissima discesa ... così ci si sveglia per forza! Ed ecco che in fondo alla discesa mi raggiunge di nuovo Mario e siamo ancora piacevolmente insieme.

Condividiamo così un temporaneo e assolutamente gestibile malumore per il chilometraggio di questa ultima tratta; il rifugio Magià sembra non arrivare mai ed i chilometri indicati non ci tornano .... ma dopo 270 km si deve dubitare seriamente delle nostre capacità di valutazione. Condividiamo soprattutto però anche il successivo bellissimo percorso che dal rifugio Magià conduce, in una splendida serata autunnale, sino al rifugio Cuney e da lì al Col Chaleby per raggiungere con bellissimo sentiero il bivacco Clermont e di lì a poco il Col de Vessonaz. Tratto fantastico, tra i più belli di tutta l'Alta Via n. 1.

Rifugio MagiàCol de VessonazIl nostro obiettivo è di passare il colle con l'ultima luce del giorno e ci riusciamo anche se il cielo si sta oscurando per le grandi nuvole nere che ci attendono sul versante di Oyace. Decidiamo così di scendere il più veloci possibile perché pare avvicinarsi la pioggia ed aspettarla qui non sarebbe per nulla saggio. Il primo tratto di discesa è ripidissimo con un fondo battuto durissimo .... tra me e me penso che con un paio di A2 salteremmo sicuramente qualche curva. Scendiamo veloci e ben affiatati. Veramente piacevole la compagnia di Mario, parliamo di corse ma anche di famiglia e figli, parliamo ma riusciamo a godere anche dei silenzi e del semplice piacere di essere lì insieme.

Si è fatta notte, raggiungiamo Gennaro che ci chiede se può scendere con noi .... ovviamente lo invitiamo ad aggregarsi, scendiamo e scendiamo ancora fino ad entrare in un bosco che continua in diagonale ad attraversare la costa della montagna, abbiamo perso tanto dislivello ma non si intravvede ancora la ben che minima luce che possa far pensare ad un paese. Diagonale infinita e comincia a piovere, inizialmente in modo debole ma poi sempre più intensamente. Non posso lamentarmi .... è la prima volta che devo estrarre la giacca impermeabile e mancano poco più di una cinquantina di chilometri all'arrivo. Ci mettiamo quindi velocemente la giacca e continuiamo a scendere .... ma dove cavolo è Oyace ..... non si vede nulla !!!!! Scendiamo e con il perdere quota sudiamo come non mai. Fa caldo e con la giacca si muore ma in questo momento sta piovendo forte, sentiamo anche i tuoni che probabilmente in alto stanno battendo a destra e a sinistra ..... per fortuna siamo qui, vicini al fondovalle .... siamo arrivati in fondo alla valle infatti e non si vedono ancora le luci del paese e si inizia a risalire, ripidamente, .... per la miseria (no, ammetto non ho usato questa espressione) dove cavolo è Oyace. Si sale ripidamente nel bosco e si suda ... la pioggia è calata e provo a togliere la giacca ma ormai sono decisamente bagnato ... per fortuna non c'è aria .... per fortuna si vedono le luci del paese e il ristoro di Oyace. Entriamo ... finalmente !

Qui ci guardiamo in faccia con Mario e Gennaro, Mario mi chiede cosa penso di fare e io dico loro che forse è il caso di fermarsi un'oretta a dormire in modo da asciugarsi, far passare qualche ore di buio e ripartire un po' rigenerati. Mario mi dice quindi "va bene, non metto nemmeno la sveglia, quando decidi chiamami". Gennaro tentenna, probabilmente vuole continuare ancora per un po'. Io, dopo aver messo la sveglia, crollo sulla brandina del ristoro.

Al ristoro di Oyace non si dorme bene. Le brandine sono in zona illuminata, in uno spazio aperto con il bar e i tavoli per mangiare, c'è un continuo viavai di gente, è umido e freddo o forse sembra freddo perché è molto umido ed io sono bagnato, con solo una coperta a cercare di scaldarmi. Ma questo è quello che "butta il convento". Un'ora, non di più, e sono di nuovo sveglio ... non ci metto molto a comunicare a Mario, che dorme nella brandina accanto alla mia, che si è fatta ora ... è già pronto anche lui. Nell'altra brandina non c'è più Gennaro che ha evidentemente deciso di non fermarsi a dormire ed ha proseguito.

Mangiamo velocemente qualcosa e ripartiamo per quello che sarà per me il tratto più ostico di tutto il Tor.

La salita al Col Brison è lunghissima, per fortuna procede in modo regolare ma sembra che il dislivello non aumenti mai ... è particolarmente buio e sopra le nostre teste c'è il faro in cima al colle che ci indica il punto di arrivo di questo sentiero che si inerpica senza sosta. Fortunatamente dopo un tempo paragonabile all'eternità raggiungiamo un ristoro minimalista con due simpatici signori che ci invitano a mangiare qualcosa e ci avvisano che mancherà quasi un 'ora alla cima. Mi sembra impossibile ! La luce è là ! E rimarrà là per circa un'ora durante la quale continueremo a salire spostandoci al centro e poi riportandoci sulla dorsale di destra per poi salire l'ultimo tratto diretto .... e finalmente siamo accanto al faro posto in cima al Col Brison ! Pochi metri dopo siamo al punto di controllo ed il volontario ci squadra e controlla come stiamo prima di lasciarci affrontare la discesa. Ci chiede se vogliamo entrare nell'angusto spazio a disposizione dove stanno già riposando un paio di persone ma ovviamente non abbiamo nessuna intenzione di fermarci perché Ollomont è proprio lì sotto di noi, millecento metri sotto di noi, si vedono persino le luci della base vita. Ci verrebbe voglia di urlare "Ollomont stiamo arrivando" ma per fortuna non lo facciamo perché quei millecento metri risulteranno essere infiniti.

Il primo tratto di discesa è ripidissimo e sempre scomodo per la tipologia di fondo .... penso a tutti quelli che sono qui senza bastoncini che per me sono un sostegno e una sicurezza fondamentale. Le luci di Ollomont sono sempre lì ma noi continuiamo a spostarci verso destra scendendo, sempre verso destra, e via ancora fino a che non riusciamo più a vedere le luci del paese, e intanto continuiamo ad andare in là .... ma dove stiamo andando ???? Il sentiero rimane sempre tecnico e scomodo e il peso della notte inizia a farsi sentire e anche un certo scoramento per vedere la base vita allontanarsi anziché noi avvicinarci a lei ! Ad un certo punto il terribile sentiero percorso si trasforma in una forestale altrettanto lunga, a tratti eccessivamente ripida, comunque fastidiosa. Per fortuna ho la compagnia di Mario con il quale sono ormai ore che "viaggiamo" insieme. Finalmente una luce, è un ristoro intermedio, c'è una tenda, ci chiedono se vogliamo fermarci a dormire …. non sia mai, Ollomont ormai è vicina …. qualche pezzo di formaggio al volo e via ancora lungo questa brutta forestale con la consapevolezza però che è quasi fatta, arriviamo alle prime case, eccoci sulla strada ed in pochi minuti giungiamo a quelle luci che vedevamo dal Colle. Eccoci all'ultima base vita !!!

A Ollomont è tutto molto stretto. L'accesso alla base vita, la zona distribuzione borse con due piccoli bagni, l'entrata al ristoro. Appena dentro mi sembra di essere in un vecchio bar di un porto del nord europa, luce soffusa, anche qui poco spazio e quel poco occupato dalle borse e dalle cose sparpagliate dai pochi atleti presenti. Non mi invita a fermarmi tanto. E poi tutti gli amici che sono passati di qui mi hanno sempre detto che una volta arrivati a Ollomont è fatta. Mario mi dice che si fermerà a dormire un po'. Io, guardandomi intorno, non riesco a pensare di poter stare qui a lungo, non voglio neanche immaginare dove e come siano le brandine. Dico quindi a Mario che mi limiterò a chiudere gli occhi appoggiato al tavolo per qualche minuto e poi proverò a ripartire sicuro che mi potrà facilmente raggiungere nel corso della giornata. Ci salutiamo serenamente per la terza volta in questo Tor.

A Ollomont mi offrono però forse il pasto migliore da quando sono partito: un bel piatto di arrosto con contorno e una buona birra. Appoggio così la testa sul tavolo e riesco a dormire pesantemente per dieci, forse quindici, minuti. Fuori è ancora buio, saranno quasi le cinque, ma è ora di andare. Ho davanti a me l'ultimo giorno e se tutto va bene tra poco potrò mettere via definitivamente la pila frontale. Non dovrei doverla usare ancora. Ci vuole un po' di coraggio per decidere di uscire … sistemo quindi senza fretta lo zaino, bevo un caffè e sono pronto.

Due chiacchiere scherzose con Max. Una vera forza della natura, sempre carico e pronto alla battuta, con il quale sono ormai un paio di giorni che ci si incrocia e ci si ferma volentieri a parlare. Ad ogni base vita ha il suo amico cane che lo aspetta e si vede che è un rapporto importante. Max mi chiede come sto e se sto ripartendo …. poi ridendo mi dice “vai vai che poi ti riprendo”. Io gli rispondo sempre con una battuta e gli dico che non sono sicuro che ce la farà! e così ci salutiamo mentre sento di essere pronto per affrontare l'ultima parte di questo mio Tor.

Uscito dalla base vita di Ollomont ho la netta percezione che sarà una bellissima giornata, sto ancora bene, anzi – penso – credo che potrò anche cominciare ad aumentare un po' il ritmo, mancano solo cinquanta chilometri con poco più di 4000 metri di dislivello, chi mi può fermare a questo punto? E' giunta l'ora di andare, questa volta da solo, senza altro pensiero se non quello di godermi queste ultime ore, in armonia con tutto quanto mi circonda.

Anche oggi è una splendida giornata, la temperatura ottima, e così comincio la penultima salita. Sto salendo bene, mi sembra di fare un classico vertical di allenamento sulle montagne vicino a casa, il sentiero sale regolare e non mi costringe mai a fare sforzi particolari. Sta albeggiando, le prime luci del giorno, vedo un concorrente svizzero che non mi ero nemmeno accorto che fosse partito prima di me dalla base vita, lo supero sull'onda dell'entusiasmo, lo saluto ma proseguo con il mio passo decisamente buono. Sono ormai all'alpe di Champillon quando il sole inizia a dare una luce diversa ai pascoli intorno a me, raggiungo velocemente il rifugio Champillon, entro e mi faccio un buon caffè …. non posso fermarmi molto, fuori c'è una giornata speciale che mi aspetta, quindi esco e mi fermo fuori dal rifugio. Mi fermo e guardo indietro, guardo le montagne intorno a me, mi godo questa pace e questo spettacolo meraviglioso.

Ma il Tor è movimento, l'endurance è movimento, e quindi non ci si può fermare ma si deve andare avanti per scoprire nuovi posti e quindi via perché tra l'altro “gara l'è gara” e solo pochi minuti davanti a me c'è un altro concorrente che ormai è “a tiro” e procede con passo regolare ma non fortissimo.

Arrivo a Col ChampillonPoche centinaia di metri di dislivello e vedo davanti a me il Col Champillon. Attorno a me è tutto un colore giallo – marrone per l'incredibile effetto della luce del primo sole. Fantastico. Non vorrei essere da nessuna altra parte in questo momento. Arrivo al Colle quasi con le lacrime agli occhi per la bellezza che mi avvolge. Forse sono anche gli effetti della stanchezza e della privazione del sonno ma sono convinto che questo sia e rimarrà il momento più bello del mio Tor. Mi fermo ancora al Colle e non certo per riprendere fiato dalla salita appena ultimata che potrei dire di non aver nemmeno “visto”, no mi fermo per consolidare queste immagini, questo ricordo, e per respirare quest'aria.

Quando mi giro a guardare la discesa sul versante opposto vedo l'atleta che mi precedeva ormai lontano, giù nella valle, nella parte grigia di questo mondo non ancora toccata dai magici raggi del sole che hanno reso meraviglioso il versante salito. E allora giù anch'io, godendomi questa discesa, cercando di dimenticare qualche fastidio ai piedi, e così scendo guardandomi attorno, cercando di capire da che parte andrà ora il sentiero. Arrivo così al successivo ristoro, posto all'interno di una grande malga, vedo ripartire il concorrente che mi precede, io mi fermo a fare un po' di colazione con un caffè, qualche biscotto e due chiacchiere con il gestore. Ormai il giorno e il sole sono arrivati anche qui. Quando riparto vedo che sta arrivando anche l'atleta svizzero ma a parte le battute qui non c'è da far conti o tattiche, si deve cercare di andare con quello che si ha ancora nelle gambe e nella testa.

Qui inizia un tratto lunghissimo dapprima in piano e poi in leggera discesa. Saranno sicuramente più di 10 chilometri. Il piano ! ….. Ho sempre sostenuto che io non sono un corridore !!!! Ma qui bisogna correre perché altrimenti “non vieni più fuori” … e così mi sforzo di corricchiare, alterno qualche centinaio di metri di corsa (forse definizione troppo generosa) a qualche tratto di camminata, prima di riprendere la corsa ….. tanto è l'ultimo giorno, sono gli ultimi sforzi, e chi mi ferma ????

Lo svizzero però nel frattempo si è notevolmente avvicinato. Evidentemente ha più gamba e più testa di me! Ci mette un po' a raggiungermi nonostante il piano non sia il mio punto di forza. Ci risalutiamo e passa. Non sta andando il doppio però e un po' di orgoglio patriottico mi induce a pensare che non gliela posso dare vinta così facilmente. E così non lo mollo. Anche lui corre e ogni tanto cammina e io vedo ogni volta di correre qualche metro in più di lui in modo di ricucire lo strappo iniziale. Siamo ormai accanto …. non ricordo cosa gli ho detto ma abbiamo iniziato a parlare … abbiamo iniziato a far coincidere i momenti di corsa e quelli di camminata. E così giù, una volta finito il tratto pianeggiante, lungo la forestale in discesa verso Saint Rhémy. Mi stupisco di riuscire a comunicare in tedesco (che un po' come la corsa in piano non è proprio il mio forte). Ormai siamo al paese e così al punto di ristoro.

Ci mangiamo un piatto di pasta prima di affrontare l'ultima salita, quella che porta al mitico Malatrà. Il morale è altissimo e sono contento di aver trovato un nuovo compagno di viaggio. Decidiamo così insieme di ripartire sotto un sole caldissimo. Sarà quasi mezzogiorno quando iniziamo l'ultima salita. Via, galvanizzati dal poter affrontare questa ultima tratta del percorso in ottime condizioni sia fisiche che mentali. In pochi minuti raggiungiamo l'atleta francese, Olivier, che mi aveva preceduto all'ultimo colle. Anche lui si unisce a noi e procediamo in salita uscendo dall'abitato e addentrandoci nella valle che conduce all'alpeggio di Merdeux.

Salita al FrassatiIl primo tratto di salita tra Merdeux inferiore e Merdeux superiore è proprio piacevole. Nell'ultima parte però si trasforma in strada forestale con una lieve pendenza. Ed è qui che si abbatte su tutti noi tre una crisi di sonno "totale". Le ore del primo pomeriggio, caldissimo e un percorso facile ci annientano tutta la carica di energie che ci sembrava di avere all'uscita di Saint Rhémy. Ogni tanto alzo la testa e guardo i miei due compagni e li vedo barcollare e procedere con traiettorie improbabili così come mi accorgo di fare io. Ad un certo punto mi viene da sorridere guardando la scena e penso alle barzellette di quando ero più giovane che iniziavano spesso con un “c'è un italiano, un tedesco e un francese” e mi dico che suona bene anche se non è proprio un tedesco ma uno svizzero tedesco.

Siamo effettivamente da barzelletta, siamo “cotti come le rave”, ma ovviamente andiamo avanti senza soste. Dopo l'ultima malga la forestale finisce e il percorso diventa nuovamente sentiero, anzi una miriade di sentieri che scendono dal Rifugio Frassati. Decido così di scegliere sempre quelli più ripidi e scomodi in modo da essere costretto a riattivare la concentrazione e riuscire forse in questo modo ad allontanare il sonno che mi sta plasmando. Sono un fantasma che sta fluttuando, ogni tanto mentre cammino gli occhi si chiudono e rimangono così per qualche attimo in più di ciò che avviene normalmente durante la veglia. Potrei forse svenire o comunque addormentarmi mentre cammino: non credo che le due ipotesi sarebbero tanto diverse tra loro. Però un po' alla volta il sentiero torna a diminuire la sua pendenza e con un traverso semipianeggiante conduce al Rifugio Frassati. Ci siamo. Siamo arrivati al rifugio ancora "in piedi".

Col de MalatràCol de MalatràUna volta entrati in rifugio Olivier ci comunica subito che andrà a dormire una mezz'ora, io e Ernst invece decidiamo di mangiare un piatto di pasta con la salsiccia e siamo nuovamente pronti per uscire …. ci attende solo il Malatrà!

Usciti dal rifugio cerchiamo di immaginare dove sia questo mitico colle e iniziamo a seguire il sentiero che va però da tutt'altra parte rispetto a tutte le alternative che avevamo ipotizzato. Ci siamo ripresi entrambi, la sosta ci ha svegliato e adesso siamo pronti per affrontare l'ultima asperità e la discesa finale. E' così che in pochi minuti arriviamo di fronte al ripido ghiaione che scende dal colle intagliato tra le cime aguzze della cresta. Il sentiero attraversa comodamente il ghiaione in diagonale e velocemente conduce agli ultimi metri un po' più ripidi ma facilitati dal alcune corde fisse. Ci siamo ! Siamo al Col Malatrà, sono circa le tre di pomeriggio quando inizia a farsi sentire una piccola onda di malinconia. Siamo alle foto di rito, assieme a Ernst e da solo. Guardo verso la valle opposta che scende molto più dolcemente rispetto all'ultimo tratto percorso. Si vedono le cime che contornano la val Ferret. Si sente dentro l'avvicinarsi di Courmayer e così la conclusione di questo grandissimo viaggio.

Ernst mi aspetta ma io lo invito ad andare. Sono sicuro che il fastidio ai piedi rallenterà un po' la mia discesa e lui invece può andare tranquillo; mi dice che vuole aspettarmi ma io insisto affinché vada con l'impegno però di attendermi al traguardo per bere insieme una birra. Così lui parte e anch'io dietro di lui ma un po' più lentamente. Sono comunque contento, sono contento di poter essere qui da solo per godere pienamente di questo amplesso di sentimenti. Ce l'ho fatta, sto completando questo incredibile percorso, non ricordo quasi più quante notti e quanti giorni, ma già mi manca, ho fretta di tagliare il traguardo per poter conclamare questo mio risultato ma al contempo voglio restare ancora qui, incollato a questo percorso, a questi sentieri, in mezzo a queste montagne.

Le ultime tre ore passano in questo modo veloci, tra tante emozioni ed il tentativo di razionalizzarle. Un improvviso temporale con una leggera grandinata trasforma tutti i sentieri in veri torrenti d'acqua ma io sto correndo veloce senza guardare dove metto i piedi, come un bambino che sguazza nelle pozzanghere del parco giochi. Raggiungo così il sentiero che lega i rifugi Bonatti e Bertone; l'ho percorso tre volte, sempre in occasione dell'UTMB, e mi ricordo perfettamente l'incomparabile vista sulle splendide cime che sovrastano la parte opposta della valle. Oggi non si riescono a vedere per le nuvole grigie ma sono tutte lì: le Grandes Jorasses, il Dome de Rochefort, il dente del Gigante, la Tour Ronde, il Mont Maudit, il Monte Bianco ! Certo che farlo nel senso opposto questo sentiero è molto più facile, da questa parte ci sono un “sacco” di risalite. Ed io corro, corro a tutta, e sulle risalite mi metto a testa bassa spingendo con i bastoni …. in un'ora da quando ho intersecato questo sentiero sono al Bertone. Al ristoro mi assiste e mi versa un bicchiere di coca la signora Nicoletti in persona con la quale scambio un paio di battute; saluto e ringrazio tutti velocemente però perché mi aspetta l'ultima fatica, la discesa finale. Anche questa la conosco bene e so che sarà lunga e difficoltosa! Ma ormai è finita. Scendo e ancora scendo e sono alle porte di Courmayer, quando mi raggiunge un concorrente che corre ai "cento all'ora". Anche con lui ci siamo incrociati parecchie volte negli ultimi due giorni. Facciamo due chiacchiere veloci, mi invita ad andare con lui perché teme che stia arrivando un altro atleta a breve. Gli dico di andare, impossibile tenere la sua velocità, ma anch'io aumento il mio passo e inizio a guardarmi indietro. Già mi scoccia aver perso una posizione a pochi minuti dall'arrivo, .... ma in realtà va bene così perché sono già ben oltre tutte le più rosee aspettative, ... sono così davanti alla Casa delle Guide di Courmayer, lungo il corso del centro, sono da poco passate le 17.45, tanta gente che mi applaude e saluta, sono alla curva finale, vedo gli striscioni e la "rampetta" che conduce al traguardo, sono quasi arrivato, sono arrivato ! Ce l'ho fatta, questa volta è indiscutibile, il mio tempo si è fermato a 101h48'. Anch'io mi fermo. Mi guardo intorno, tanta gente attorno ma nessuno che sia lì specificamente per me. Incrocio tanti volti ma mi manca averne uno veramente amico che sia lì ad attendermi, per complimentarsi con me ma soprattutto per condividere la mia gioia e soddisfazione. Firmo il poster del Tor con i nomi di tutti i finisher, ce ne sono ancora pochi perché non sono tanti quelli già arrivati, e finalmente vedo Ernst, eccolo un volto amico. Ci complimentiamo e ci ringraziamo vicendevolmente, siamo così finalmente seduti insieme con una birra in mano e tutta la tensione che mi ha tenuto in piedi oltre ogni regola fisica si sta allentando. Sono finalmente fermo ! .... sono finalmente fermo !

Una volta tagliato il traguardo ci si sente come totalmente svuotati, quasi incapaci anche solo di pensare. Rimango quindi così, vuoto, con una birra in mano, incapace di pensare a cosa ho fatto, a cosa devo fare, .... il nulla ! Potrei rimanere qui così, nel nulla, in attesa che arrivi la cerimonia di premiazione di domenica !

E invece piano piano mi muovo ancora, considerato che è forse il caso quantomeno di spogliarsi e lavarsi (che è qualche giorno che non ci si lava!). Approfitto di un passaggio dalla zona arrivo al palazzetto dello sport dove mi sistemo e dove passerò la notte in attesa dell'arrivo degli altri. Saluto così Ernst con il quale siamo d'accordo che ci troveremo di lì a poco per mangiare quella pizza che sognavo ormai da un paio di giorni. Mi muovo e penso un po' al rallentatore, sono finalmente fermo, non devo riprendere ad andare, posso fare le cose con molta calma, posso anche non fare nulla.

Il resto è poi presto raccontato: una pizza gigantesca con tre birre medie che mi stordiscono ma che non mi impediscono di continuare a parlare in tedesco con Ernst (sono sempre più allibito), poi svengo sulla brandina del palazzetto fino a quando a notte fonda arriva Luca, finisher, bravissimo !!!! Gli do le chiavi della macchina per prendere le sue cose e svengo nuovamente sulla brandina, fino al mattino, quando verso le sette vedo il messaggio di Michele che, anche lui arrivato da tempo, si è accampato nella grande palestra dove c'è un po' di ristoro e la consegna delle borse. Non ha voluto svegliarci e quindi si è buttato lì per terra a riposare senza tanti riguardi. A Michele ho la forza di andare io a prendergli la borsa e così finalmente ci raccontiamo gli ultimi tre giorni. Lo rassicuro che è e rimarrà sempre più forte di me anche se questa volta le cose non gli sono girate alla perfezione ma è finisher per la quinta volta al Tor e con una seconda parte di gara in netta rimonta! E così senza nemmeno dormire tante ore passiamo un venerdì all'insegna del bere e mangiare, dalla colazione passiamo direttamente al pranzo, per poi dormire un attimo e pensare alla cena (che sarà in compagnia di Andrea di Montane, di Pablo e Oliviero ed altri amici che certo non si tirano indietro di fronte a birre, sangria e limoncelli vari); serata di festa che finisce verso le 4 di mattina dopo aver applaudito e incitato tanti atleti in arrivo nel corso della notte. AlessioE poi arriva il sabato con il grande arrivo al traguardo di Alessio. Tutta la sua famiglia è venuta da Trento proprio per essere presente a questo traguardo che ha inseguito con una volontà e caparbietà incredibili. Alessio sapeva di non aver potuto preparare questa gara come avrebbe voluto ma l'ha gestita in modo egregio pensando a godersi il viaggio ed arrivare in fondo, e così ha fatto, conquistando quel riconoscimento di finisher a lungo inseguito: a mio parere gli va assegnato il premio di miglior prestazione del gruppo! Bravo.

Ed è giunto così anche il momento della cerimonia finale, nella tarda mattinata di domenica. Tutti gli atleti che hanno completato il Tor si ritrovano per i saluti, i ringraziamenti e la consegna del premio loro dedicato. L'aria è in realtà un po' triste, si sta evidentemente smobilitando tutto, è stato fatto tutto quello che si doveva e piano piano è giunto il momento di ritornare alla normalità, al mondo civile, alla famiglia, alle nostre case e cose. Il venerdì avevo pensato che fosse un po' eccessivo dover attendere fino a domenica per poter rientrare a casa ma nel corso di questi giorni ho realizzato che era necessario avere il tempo per far decantare un po' le cose nella testa e nel cuore. Si dovevano dedicare alcuni giorni per riuscire a completare il processo di consolidamento di questa avventura dentro di noi, non si poteva tornare subito, come niente fosse successo. 

Il gruppoE' stata una settimana grande, importante, e la malinconia che ti lascia l'abbandonare questo posto e queste montagne, con le sue luci e le sue ombre, mi porta a ripensare all'amico perso quest'anno e ad un'altra persona a me cara che sta lottando nell'affrontare gli ultimi chilometri della sua corsa, della sua vita.

E con questa malinconia nel cuore mi viene da pensare che il Tor è un po' come un file zip della nostra vita, tutta compressa in quattro / cinque giorni; partiamo baldanzosi, pieni di curiosità ed entusiasmo che dobbiamo persino contenere, proseguiamo poi cercando di raggiungere i nostri obiettivi, faticando e combattendo, inseguendo non si sa cosa ma forse semplicemente muovendoci in mezzo a tanta bellezza non senza dover fare il conto con notti buie o tratti scomodi tanto da far bestemmiare, per arrivare infine stanchi a vedere il nostro traguardo, il completamento del nostro percorso. E così, alla fine, il raggiungere quel momento in cui possiamo solamente e semplicemente fermarci, ma con il sorriso sul volto per aver fatto quello che dovevamo fare.

Voglio pensare che anche Enzo e Marco abbiano raggiunto o stiano per raggiungere il loro traguardo con il sorriso sul volto.

Quanto amo quel momento in cui superato il traguardo mi fermo e realizzo che non devo fare altro .... solo trangugiarmi una birra gigante e ripensare al viaggio fatto ed alle emozioni vissute.

Ed è già mal di Tor!

 

Il podio!

 

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